SCICLI – Fu intorno agli anni Sessanta che ebbe inizio, nella nostra realtà, l’era dell’Oro Verde, definita così per il colore degli ortaggi coltivati in serra. Erano tempi in cui si viveva ancora in clima da dopoguerra; c’era molto entusiasmo fra la gente; e mentre i bambini giocavano spensierati per le strade, gli adulti (uomini e donne), invece, spinti dall’etica del lavoro e liberi ormai dalle angosce della guerra, sognavano una vita meno misera e più dignitosa.
Così successe che la pioneristica inventiva di alcuni agricoltori tramutò la comune coltivazione degli ortaggi dal pieno campo con quella più complessa sotto serra. Questo nuovo processo economico produttivo, che nacque senza nessun supporto istituzionale e senza alcuna programmazione, fu subito un successo imprenditoriale e garantì per alcuni anni un reddito pro-capite e condizioni di vita migliori.
Ma comportò, allo stesso tempo, grandi trasformazioni e stravolgimenti dell’assetto agro-rurale del territorio e soprattutto un’importante depauperamento della fascia costiera, le cui dune di sabbia, di raro pregio paesaggistico, furono rimosse ed usate per adeguare il suolo agricolo alle nuove coltivazioni.
In assenza di una valida governance pubblica di supporto, nel tempo questo nuovo sviluppo ha portato il settore ad essere sempre più “industria dipendente” ed ostaggio delle inflessibili leggi del mercato liberista e globalizzato. Un fenomeno che ha determinato l’espulsione di medie e piccole imprese dalla produzione ed innescato conflittualità, emarginazione e sfruttamento fra i lavoratori delle varie etnie di immigrati.
In questa fascia trasformata, allargatasi anche verso altri territori del sud dell’isola, ci sono state varie crisi economiche (non ultima quella attuale), perlopiù in coincidenza di tensioni commerciali ed eventi bellici internazionali – stando a significare quanto fragile e poco resiliente sia il settore. Quella di oggi pero’, diversamente dalle precedenti, è una crisi strutturale, che sta mettendo a dura prova il rapporto del mondo del settore agricolo con sistemi di produzione, gruppi economico-finanziari, enti pubblici e rappresentanze di categoria. Una crisi che di riflesso sta travolgendo radicalmente anche le identità storico-culturali e socio- ambientali della nostra realtà.
Far credere che la costruzione dell‘autostrada Modica Scicli, con il fondo dei 500 milioni assegnato, possa scongiurare il collasso della produzione agricola in serra, assicurando un più veloce trasporto degli ortaggi, è semplicemente strabismo demagogico. Ben altri sono i parametri con cui confrontarsi sui mercati.
È possibile invece ipotizzare che quell’ingente finanziamento, speso per la riparazione e messa in sicurezza della rete stradale urbana ed extra urbana e, perché no, per un adeguamento della rete ferroviaria interprovinciale, sarebbe stata una spesa più utile e sostenibile per la collettività.
Un sistema produttivo di questo tipo, fortemente dipendente dalle grandi industrie, dai monopoli economico-finanziari e dagli apparati tecnico-burocratici ed amministrativi, che ha dei pesanti costi sociali ed ambientali, è ormai al capolinea. Servono modelli diversi ed alternativi di pratiche agricole, turistiche e artigianali che perseguano anche obiettivi di integrazione socio economico e culturali e pongano come azione principale la chiusura dei cicli dell’acqua, dei rifiuti, del suolo e dell’aria.
A fronte del dissesto ambientale e sociale di questi anni, il nostro territorio possiede ancora patrimoni ambientali, saperi e cultura che ne hanno rappresentato per certi aspetti i supporti delle invarianti del luogo nel tempo (pascoli, carrubeti, mandorleti, flora e fauna e biodiversità tipica della macchia mediterranea).
Sono forme di sapere: la cultura della conduzione familiare del fondo rustico e l’agricoltura policolturale, con l’uso delle sementi del luogo, la piccola fattoria a conduzione, che adotta i sistemi tradizionali dell’allevamento e della coltivazione dei foraggi, le piccole aziende artigianali della trasformazione dei prodotti agricoli, ortaggi, cereali prodotti lattierocaseari, della lavorazione delle materie prime per l’edilizia, ferro, legno e pietra.
Tutte forme di sapere che possono costituire la base di partenza per uno sviluppo autosostenibile. Partiamo dall’assunto che il rapporto agricoltura-turismo, in un passato più o meno recente motivo di conflitto, oggi può essere positivo per lo sviluppo locale. Il ruolo della nostra agricoltura dovrà essere multifunzionale: produrre beni di mercato, produrre contemporaneamente beni e servizi pubblici (servizi agrituristici, cura del paesaggio rurale). Tale evoluzione può essere favorita sia dalle nuove politiche europee, limitate alla produzione di qualità, sia dalle funzioni ambientali e paesaggistiche attribuite all’agricoltura.
Ciò vale sia per le zone collinari che per il tavolato agricolo a ridosso del litorale marino, dove le attività agricole tradizionali possono attingere in forme selettive l’innovazione, coniugando saperi tradizionali ed esperti per un uso appropriato di tecnologie, che sappiano ridurre e azzerare gli input esterni, come fertilizzanti e pesticidi, migliorando in questo modo la produttività complessiva del sistema rispetto alle diseconomie e agli squilibri del modello agroindustriale delle coltivazioni in serra. Inoltre, riducendo la dipendenza da risorse esterne e favorendo l’autosufficienza e l’indipendenza energetica, si promuoverebbe una maggiore resilienza economica della comunità che affronterebbe con più capacità gli shock economici ed ambientali che possono verificarsi nel tempo.
In questo nuovo percorso di sviluppo autosostenibile, un ruolo fondamentale dovrà svolgere la Municipalità locale che dovrà rivedere l’attuale compito di semplice amministratore di servizi, assumendo un ruolo attivo nell’autogoverno della città, individuando forme di collaborazione con altre comunità locali, in sinergia delle quali poter chiudere i cicli ambientali, per superare i modelli centripeti regionali del potere decisionale verso modelli di sistemi territoriali locali, in grado di realizzare autosostenibilità ambientale sociale ed economica.
Nel garantire sicuramente una migliore qualità della vita e un più forte senso di appartenenza alla Comunità, questo sviluppo autosostenibile, meno condizionato dalle distruttive logiche di mercato globalizzato, faciliterà sicuramente percorsi di Cooperazione transnazionali, non solo con il più distante Nord del Mondo, ma anche con il Sud e i più vicini Paesi dell’area del Mediterraneo.
Antonino Nigito